La misura della libertà si determina nell'attimo in cui l'individuo si propone di fare qualcosa. Ad esempio: fino a che non ci si proporrà di volare non si determinerà la limitazione che sorge dal non avere questa possibilità. L'assenza di desiderio rende l'individuo indeterminatamente libero. __ Kempis




E l'assenza di desiderio è anche una conseguenza dell'evoluzione. Un individuo molto evoluto non desidererà ciò che appartiene ad altri e nemmeno sarà schiavo dei suoi desideri materiali perché avrà capito che sono illusori, e in ciò consisterà la sua libertà. Cioè quello che sentirà di fare sarà ciò che rientra nel suo ambito di possibilità e il resto non gli interesserà e quindi non patirà della limitazione di non poterlo fare. Tu che leggi - per fare un esempio un po' strano - non vorresti mai volare verso il sole col rischio (anzi la certezza) di venire incenerito, e quindi non patirai mai e non sentirai mai come assenza di libertà, il fatto di non poter realizzare una cosa del genere (e lo puoi capire bene in questo esempio così estremo). Quindi viene un po' spostato il punto di vista dall'esterno (il non poter fare qualcosa che si vorrebbe fare), all'interno (il cessare di desiderare quel qualcosa e quindi cessare di sentire quella limitazione di libertà). E ancora si può ripetere il concetto dicendo che libero non è tanto colui che può soddisfare ogni suo desiderio - perché una tale condizione è irrealizzabile - quanto colui che nulla desidera più di ciò che ha. E anche la capacità di non sottostare alle influenze della società è dipendente dalla propria evoluzione. Noi - individui di media evoluzione - ancora necessitiamo del riconoscimento di chi ci sta accanto, e per esso facciamo molte cose che, altrimenti, non ci interesserebbero. Ci abbigliamo come chi ci circonda anche a volte andando contro il nostro gusto personale, ci atteggiamo come si conviene, evitiamo di parlare di argomenti che in sé magari sarebbero anche istruttivi, ma che alla "morale" comune risultano "sconvenienti", e via di questo passo si potrebbe dire - per certi individui - che dedichiamo quasi tutta la nostra vita al soddisfacimento delle aspettative altrui. Ciò è dovuto alla necessità dell'io di sentirsi di esistere e di espandersi, e anche dal fatto che noi - così come siamo - ci sentiamo inaccettabili a livello più o meno consapevole, e quindi per non sentirci rifiutati ci mascheriamo in modo di andare incontro a quelle che crediamo siano le esigenze e le aspettative di chi ci circonda. Il nostro ragionamento è: "così come sono è ovvio che non potrò mai essere accettato dagli altri, sono una persona orribile, quindi devo per forza di cose atteggiarmi e anche abbigliarmi in modo di creare una facciata quantomeno accettabile e - se mi impegno abbastanza - posso addirittura venire accettato ed amato completamente". Dedicherò una sezione a queste meccaniche interiori, ma già dal poco che ho detto risulta ovvio come questi meccanismi ci privino della nostra libertà di espressione e di realizzazione… tutte cose che nell'individuo evoluto sono assenti perché già superate. In questo senso egli è più libero. Anche l'evoluto si rende conto che - vivendo in una società complessa formata da molti individui complessi (e anche complessati, se mi passi il gioco di parole) - deve sottostare alle sue regole. La differenza sta come sempre nell'intenzione: l'evoluto non ha bisogno di adeguarsi, per sentirsi accettato, lo fa solamente per non urtare inutilmente chi gli sta accanto perché sa che se ciò accadesse egli non potrebbe più interagire serenamente con questa persona. Lo fa per gli altri e non per stesso, e non potrebbe essere altrimenti dato che abbiamo supposto di parlare di una persona evoluta. E dato che "desidera farlo" e lo fa con piacere, non si può parlare di mancanza di libertà perché finché si può agire in conformità alla propria volontà, si è liberi. Per fare il punto della situazione ripeterò i vari livelli di libertà che l'individuo incontra conducendo la sua vita nel piano Fisico.

"1) Azioni che egli compie (o subisce) irrevocabilmente per karma, cioè per gli effetti delle cause che egli ha mosse in precedenti incarnazioni (assenza di libertà).

2) Azioni che egli compie per sua libertà relativa, per le quali la scelta è stata influenzata da una necessità (libertà spuria).

3) Azioni che egli compie, sempre nell'ambito della sua libertà relativa, ma al di fuori di qualunque influenza (libertà pura)."

Da quanto detto fin qui mi pare piuttosto evidente che il concetto di libertà si presta a numerosi punti di vista e interpretazioni, ed è praticamente impossibile - come accade in realtà per la maggior parte degli insegnamenti - affermare qualcosa di univocamente vero, da qualunque punto di vista. Per esempio Kempis al punto "1" afferma che allorché l'individuo subisce un effetto karmico di una causa precedentemente mossa, si trova in assenza di libertà. Questa affermazione - per quanto apparentemente incontestabile, per quanto torni alla logica e sia sorretta anche dal nome di un vero maestro che l'ha pronunciata (per molti conta anche questo, purtroppo) - è in realtà opinabile e, a dirla tutta, non mi trova molto in accordo. Di nuovo userò un esempio per spiegare il mio personale punto di vista, starà poi come sempre al lettore trovare la sua personale posizione in merito. Pensiamo a un individuo soggetto ad un karma piuttosto gravoso come potrebbe essere la perdita di un figlio - o più in generale - di un proprio caro. Come reagiscono le persone ad un simile evento? Generalmente il primo impatto posso ammettere che è abbastanza costante per tutte le persone (ma credo che già a questo punto ci siano delle differenze da persona a persona), ma certamente con l'andare del tempo è possibile osservare reazioni molto differenti, se non addirittura diametralmente opposte tra loro. C'è l'individuo che si ripiega in se stesso, imbocca un tunnel da cui non esce mai più (almeno non finché è sul piano Fisico), c'è l'individuo che in parte si riprende ma che subisce comunque conseguenze gravissime e irreparabili, e c'è chi invece dopo il primo periodo di dolore magari anche più intenso e lacerante di quello provato dai due casi precedenti, poi riesce a farsene una ragione e a riprendere la sua vita in certi casi in modo anche migliore di prima. Sebbene si trattava della medesima esperienza a me non pare che ci sia una totale assenza di libertà, visto il diverso modo in cui l'individuo può scegliere di reagire alla stessa identica circostanza. Certamente non vi era la libertà di evitare che il figlio abbandonasse il piano Fisico in quel preciso momento e anche il quel preciso modo, ma rimane la libertà di affrontare in maniera più o meno costruttiva il proprio dolore. E come sempre, riportiamo tutto all'interiorità. Di solito a questo punto "l'individuo medio" pensa che questa sia una magra consolazione, mentre invece l'interiorità è di gran lunga la cosa più importante, per quanto ciò sia difficile da capire. Se si pensa - se ci si riesce a convincere e capire fino in fondo - come sia più importante quello che sentiamo e come reagiamo a ciò che ci succede, rispetto al fatto in sé, si acquisisce la capacità anche di dirigere in qualche modo la propria emotività, al punto di avvicinarci a conquistare il più grande e meritevole potere che si possa desiderare: quello di riuscire sempre - in qualunque circostanza - a essere sereni. Ora affrontiamo un argomento davvero difficoltoso, soprattutto per chi mancasse di una certa preparazione, ma forse proprio per questo stimolante: le varianti. Parlare della libertà senza citare questo insegnamento, sarebbe come parlare della ragione del dolore senza citare la legge del karma. Ogni cosa che avviene, ogni cosa esiste, per esistere - anche se all'interno dell'illusione in cui ci troviamo - deve avere un suo "meccanismo" di funzionamento. Per esempio se esiste la vita biologica è certamente perché è prevista nel "Disegno", ma ciò non toglie che essa abbia dei suoi fini e precisi meccanismi di funzionamento. Così anche la libertà - per esistere all'interno dell'illusione in cui viviamo - ha un suo preciso funzionamento, una sua precisa collocazione. Il meccanismo tramite il quale viene ad esistere la libertà di scelta, prende il nome di variante. La variante è il momento in cui abbiamo reale possibilità di scegliere se procedere tramite una via o un'altra nel nostro cammino evolutivo. Ciascuna via porterà lo stesso avanzamento al nostro sentire, così come i diversi modi con cui un'equazione matematica può essere risolta non modificano il risultato dell'equazione stessa. Di solito vi sono le varianti più dolorose e quelle che recano la minor sofferenza possibile, e sta a noi riuscire ad agire (o a volte a non agire) nel modo corretto, ovvero meno doloroso.

Prima di proseguire questo importante discorso ti lascio con una lunga citazione di Kempis tratta dal libro "Oltre il Silenzio". Attenzione perché verrà più volte usato il termine di "sentire in senso lato"; con questo termine Kempis indica il sentire contingente, quello legato all'io, e che è quindi anche legato agli eventi della vita (e quindi resta soggetto alle varianti). Da non confondere col "sentire di coscienza" che invece ha sede nel veicolo Akasico, oltre il tempo, nell'eterno presente, e quindi non soggetto ad alcuna variante.

Nelle sue scelte l'uomo è influenzato non solo dal suo vero, indelebile essere, ma anche da quella parte posticcia che proviene dalla sua collocazione umana. Questo fatto, se si crede che l'uomo sia responsabile delle sue scelte ai fini di un premio o di un castigo eterni, sarebbe inaccettabile perché gli impedirebbe di scegliere liberamente.
D'altra parte, per sostenere la verità circa il premio o il castigo eterni dell'uomo, non si può certo rifarsi all'affermazione che l'uomo è libero nelle sue scelte, perché il contrario e così evidente che nessuno può più ragionevolmente sostenere il concetto del libero arbitrio. La libertà dell'uomo consiste nel sottrarsi a certe influenze, nello scegliere fra una catena deterministica e l'altra; ma il fatto di non scegliere in assoluta assenza di influenze, non pregiudica minimamente le conseguenze della scelta, perché il fine della vita non è quello di premiare o castigare, bensì quello di donare ciò che manca. Così, se manca la coscienza altruistica, la scelta sarà egoistica, ma la conseguenza di ciò non potrà che portare all'integrazione della coscienza in senso filantropico.
Vivere significa estrinsecare il proprio grado di coscienza e, inconsapevolmente, muoversi per integrarlo. Questo concetto basilare caratterizza tutto l'insegnamento e lo fa diventare una dottrina evoluzionistica. Anche se evoluzione significa solo, in ultima analisi, che il sentire si manifesta in successione d'ampliamento - detto in termini di divenire -, oppure che il sentire è legato logicamente dal meno al più, e perciò il più contiene il meno, detto in termini di essere (qui si è fatto riferimento alla successione dei sentire dal più al meno limitato N.d.R.).

Ora, se è vero, come è vero, il principio di trascendenza [secondo cui un sentire comprende e trascende la somma dei sentire più limitati che "lo compongono" N.d.R.], ne deriva che il più trascende il meno, non solo in senso di quantità ma anche di qualità. Non potrebbe essere diversamente parlando di sentire dove, abbiamo detto, quantità e qualità si identificano. Inoltre, dire che il sentire si manifesta in successione di ampliamento e che è legato logicamente dal meno al più, significa dire che non esistono scelte errate in senso assoluto, o per lo meno che non incidono o riguardano la manifestazione o la concatenazione del sentire di coscienza - il quale, qualunque sia la scelta dell'uomo, non può che avere un successore più ampio. Da sempre noi abbiamo affermato che le scelte o le varianti riguardano il sentire in senso lato, la consapevolezza dell'uomo, e non la concatenazione del sentire di coscienza. Per comodità di comprensione si può porre, quindi, che scegliere in un senso o nell'altro può significare seguire una via più o meno dolorosa, ma che in ogni caso il sentire che alfine si ha è sempre quello che attende nella successione logica. Certo non è indifferente, dal punto di vista contingente, giungere attraverso una via o l'altra. Ora, se si ammette che la realtà sia "essere" - ammissione indispensabile per rendere vero il concetto di Dio Assoluto - si deve concludere che nell'Eterno Presente, in cui è tutto ciò che esiste, ad una reale possibilità di scelta devono corrispondere più versioni della storia individuale di eguale realtà, tanto egualmente reali che ad una osservazione esterna nessuno potrebbe sapere quale versione l'individuo vive. In altre parole: fra le molteplici versioni una sola è vissuta dalla consapevolezza dell'uomo, e solo chi la vive sa quale sta vivendo; tuttavia nella realtà delle cose realizzabili e quindi realizzate nell'Eterno Presente, debbono esservi realizzate tutte; diversamente non si tratterebbe di una reale possibilità di scelta e l'individuo avrebbe solo una libertà supposta, nominale, riducendo la realtà ad un rigido determinismo. L'Eterno Presente è uno stato, non un luogo. Ma supponiamo di poterlo visualizzare, o meglio di visualizzare la reale possibilità di scelta di un uomo, così come appare in stato di Eterno Presente: allora si vedrebbero i fotogrammi, ossia le situazioni cosmiche, di tutte le scelte possibili relative al mondo Fisico, all'Astrale, al Mentale, facenti tutte capo al suo sentire di coscienza. In altre parole, al sentire di coscienza sono legate tutte le versioni della sua storia nei mondi della percezione, che rappresentano le scelte che possono essere fatte. Tuttavia la consapevolezza dell'uomo ne fa sentire in senso lato una sola versione: quella scelta. Ciò non toglie che anche le altre versioni non siano complete di fotogrammi fisici, astrali, mentali, ossia azioni, sensazioni, pensieri; perché se nel divenire fossero scelte, dovrebbero dare il relativo sentire in senso lato, più o meno faticoso, più o meno doloroso o gradito, capace di ampliare il sentire di coscienza. In altre parole ancora, ad un solo sentire di coscienza, laddove l'uomo ha libertà di scelta, corrisponde una pluralizzazione di sentire in senso lato, inerente a una pluralizzazione di fotogrammi dei quali però una sola serie è percepita. La visualizzazione che ho fatto è assai rozza e contiene imprecisazioni concettuali, tuttavia è abbastanza idonea per spiegare in modo efficace una Realtà così inusitata. L'errore più rilevante in cui si può cadere per tale esemplificazione, è quello di capire che i fotogrammi siano oggettivamente esistenti al di là della creazione-percezione dell'individuo, mentre essi sono tutti esistenti nello stato di Eterno Presente, perché appunto in quello stato è annullata ogni successione, e quindi sono tutti creati-percepiti simultaneamente, per cui sparisce il senso del trascorrere che invece scaturisce dalla creazione-percezione in illusoria successione. Non per altro. Riportandosi all'esempio della pellicola che scorre dinanzi all'obbiettivo e proiettando i fotogrammi, noi potremmo dire che nell'Eterno Presente ci sono tanti obbiettivi quanti sono i fotogrammi, e quindi tutti sono proiettati simultaneamente. L'individuo percepisce in successione quanto esiste nell'Eterno Presente simultaneamente; ma nell'Eterno Presente esiste perché lui lo percepisce, e lui lo percepisce perché il sentire lo crea.

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