Da sempre abbiamo detto che Dio è in tutto e che tutto è in Dio; perciò il concetto panteistico sembrerebbe avvicinarsi molto al Dio vero; tuttavia, nel momento stesso che affermiamo che Dio è oltre il mondo, oltre il manifestato ed oltre la totalità del Tutto, riconosciamo al panteismo solo una piccola parte di verità: Dio è al tempo stesso immanente e trascendente la manifestazione. Quali rapporti vi sono, in realtà, fra Dio e l'esistenza? Ancora una volta siamo di fronte ad un concetto che deve essere approfondito. Dalle nostre affermazioni appare, lapalissianamente, che noi respingiamo il concetto di "creazione", inteso come l'atto con cui Dio trae dal nulla tutte le cose rimanendo separato dalla sua opera; e perciò respingiamo anche l'ampliamento di questo concetto operato da Tommaso d'Aquino secondo cui la vita stessa del creato è un continuo atto creativo. Dalle nostre affermazioni appare più logico pensare all'emanatismo, cioè credere che la molteplicità degli esseri derivi, per emanazione, dall'Uno Assoluto, e che per successiva condensazione si giunga alla materia; tuttavia anche questo concetto non è aderente alla realtà se con esso crediamo che Dio rimanga distinto dalla emanazione, se pensiamo alla emanazione come ad un evento oggettivo. Infatti, ne deriverebbe un Dio non certo atemporale ed in continua mutazione. E' vero che i neoplatonici affermano che la "quiete perfetta di Dio" non viene minimamente turbata dalla continua emanazione, ma è altresì vero - e voi dovreste convenirne con me - che questo concetto, così com'è enunciato, può essere accettato dalla logica solo se pensiamo all'emanato come a qualcosa di distinto da Dio: cosa assurda perché, vedete, noi non respingiamo tanto il concetto di creazione perché, secondo questo, Dio trarrebbe dal nulla tutte le cose, quanto perché esso ammette l'assoluta separazione fra Dio ed il creato. Di pari respingiamo il concetto di emanazione, se pensiamo che l'emanato abbia una sua esistenza oggettiva; se ci figuriamo che Dio crei i principi e gli elementi - che potrebbero essere gli esseri ed i mondi - e che poi questi abbiano un'esistenza indipendente ed indeterminata rispetto a Dio, spettando agli esseri creare nei mondi una sorta di Repubblica ideale come quella vagheggiata di Platone. Ora, è chiaro che, affermando che Dio trascende la totalità del Tutto, ne consegue logicamente che il mondo umano non ha incidenza nel divino; ma questa affermazione non deve farci pensare ad una trascendenza di Dio rispetto al manifestato eguale a quella concepita, per esempio, dall'idea teistica: la non relazione fra la mutabilità dei mondi e l'immutabilità di Dio, ha un'altra spiegazione, e voi lo sapete. Infatti abbiamo cercato di farvi capire come il Tutto Uno Assoluto, cioè Dio, ancorché assurdamente considerato come l'insieme di parti, i mondi, in continua mutazione, in effetti non muta affatto. Questo perché ciò che noi vediamo mutare, in realtà è immutabile, è un insieme di situazioni - chiamiamole così - fisse nell'eternità del non tempo; e la mutazione nasce dalla percezione in successione di queste mutazioni, così come la storia narrata in un libro acquista vita e svolgimento solo nella mente del lettore ed in funzione di essa. Da ciò si comprende come la creazione o emanazione, o non è mai avvenuta o è sempre stata; cioè è un evento che si coglie nel gioco illusorio della percezione soggettiva e perciò non incide sull'oggettività di Dio. Questa è la vera ragione per cui la creazione o emanazione non tocca la Realtà di Dio.


Quindi la realtà quale noi la conosciamo è emanata da Dio, ma non è da esso distinta, né Dio viene modificato da questa realtà (appositamente con la erre minuscola), né in effetti questa supposta realtà si modifica nel tempo, se non nel gioco della nostra percezione. Come i fotogrammi di un film che si muovono animando le scene che noi osserviamo sullo schermo. Da quanto detto appare chiaro come sono due i punti nodali di questo discorso: il primo punto riguarda la realtà che noi percepiamo, e il secondo punto siamo proprio noi, ovvero i soggetti della percezione. Se è vero che la realtà non è qualcosa di separato da Dio, che Dio in qualche momento ha deciso di creare, è altresì vero che neppure noi, che percepiamo questa realtà e - data la nostra limitata percezione - la vediamo scorrere e mutare nel tempo, neppure noi siamo separati da Dio e da esso distinguibili. Egli, potremmo dire, è la nostra Vera natura. Dio è assoluto, è coscienza assoluta. Attenzione a questo presupposto che vedremo meglio più avanti: Dio non HA coscienza assoluta, bensì Dio E' coscienza assoluta. E il nostro cammino evolutivo che ci porta ad ampliare via via la nostra coscienza, in effetti ci avvicina a Dio, almeno all'interno della nostra percezione illusoria. Vedere Dio come una coscienza assoluta - che è un visione più che corretta - ci servirà per il nostro passo successivo.

Adesso giochiamo un po' con la fantasia, e vediamo di creare qualche immagine che ci torni utile a chiarire meglio parte di questo concetto. Una volta effettuato questo chiarimento raccomando però di liberarsi di questa immagine perché è chiaramente scorretta e fuorviante se utilizzata al di fuori del contesto in cui la sto per applicare. Dio è coscienza assoluta, cioè la più grande coscienza che esiste, comprendente tutte le nostre piccole coscienze relative. Prova a immaginare Dio come un quadrato - un quadrato con lato di 10 centimetri - composto da tanti quadratini più piccoli. Diciamo cento quadratini che hanno il lato di un solo centimetro. Ora immagina che mentre la coscienza di Dio è questo quadrato di 10 centimetri di lato, le nostre piccole coscienze relative sono quei piccoli quadratini numerati da uno a cento. Ciascun quadratino non è perfettamente identico all'altro perché in realtà stiamo parlando di coscienze … quindi il quadrato numero 1 sarà più simile al numero 2 rispetto a quanto non sia per il 3. E quindi quanto più due quadratini sono vicini tra loro all'interno del Dio-quadrato , tantopiù ci sarà similitudine tra loro. Non esistono due quadratini identici tra loro per il semplice motivo che in natura - in Dio - non esistono due cose identiche e che se per qualche ragione due enti - di qualunque genere essi fossero - divenissero identici tra loro… ebbene essi diverrebbero uno solo. Voglio chiarire meglio questo punto: così come lo spazio è generato dagli oggetti stessi che lo occupano - oggetti che costituiscono dei limiti per lo spazio - così lo piccole coscienze sono generate dai loro stessi limiti… senza i quali esisterebbe solo Dio (cosa che poi è vera perché i limiti sono apparenti). Quindi se due coscienze hanno gli stessi limiti, in realtà risultano identiche, ovvero sono la medesima coscienza. E' facile visualizzare ciò grazie all'esempio dei quadratini… da cosa è generato, infatti, un quadrato? Dai suoi quattro lati esterni. Ma cos'altro sono i suoi quattro lati esterni, se non i suoi limiti? Quindi due figure geometriche limitate allo stesso modo (uguali lati di uguale lunghezza) saranno la stessa figura geometrica. Qui il nostro esempio è leggermente sbagliato perché il nostro Dio-quadrato lo abbiamo diviso in figure geometriche identiche tra loro (quadratini di un centimetro di lato), tuttavia possiamo dire che le differenze tra i tanti quadratini sono date dalla loro posizione all'interno del quadrato da 10 centimetri… posizione che è definita dai loro limiti. E cosa accade se due quadratini hanno la stessa posizione nel Dio-quadrato? Saranno in realtà il medesimo quadratino. Tutto sommato quindi l'esempio va ancora bene… ma l'importante è che il concetto sia chiaro ! Che cosa accade a questo punto? Succede che ciascuno di questi quadratini vive la sua realtà limitata e percepisce il resto del quadrato nel suo modo limitato… percezione che sarà diversa da quadrato a quadrato a causa della diversa posizione nel quadratone, e sarà tanto diversa quanto più i quadrati saranno lontani tra loro. Il quadratino 1 e il quadratino 100 saranno i due estremi tra cui c'è il massimo di differenza, ma nessuno dei due è più vicino alla realtà dell'altro perché essi sono ugualmente limitati. Quindi il mondo che percepiamo è tale solo perché tale è la nostra coscienza, e cambierebbe se la ampliassimo o la riducessimo. Ma non bisogna credere che la nostra piccola coscienza stia "sognando" la realtà che noi viviamo… no, la realtà che noi viviamo è il solo modo in cui la nostra attuale coscienza riesce a "percepire" il resto della realtà che la circonda. Che non potrà che essere un modo limitato, quindi non corretto, quindi non reale e bensì illusorio. Il sogno è qualcosa che parte da noi e si sviluppa e si conclude in noi, invece la percezione richiede che si interagisca con qualcosa che esiste "oggettivamente", e questo qualcosa è la divina sostanza indiversificata o Dio. Potremmo vedere ora cosa accade allorché focaliziamo l'attenzione non più sui singoli quadratini di un centimetro di lato, bensì sui quadrati un po' più grossi fatti da quattro quadratini adiacenti tra loro. Quindi non più quadratini da un centimetro bensì da due centimetri di lato. Questi hanno una coscienza superiore ai quadratini precedenti e sono quindi più simili al Dio-quadrato… ma sono composti in realtà dai piccoli quadratini precedenti. Non più cento piccoli quadratini, bensì 25 quadrati più grandi e quindi con coscienza maggiore. Ciascuna di queste coscienze contenente in sé 4 coscienze più semplici. Ma nel momento in cui noi consideriamo le coscienze più grosse non è che le più piccole si annullino… esse sono ancora lì, nell'eterno presente a comporre il nostro Dio-quadrato-immutabile esattamente come prima, e sono lì anche quelle più grandi - da cinque centimetri di lato - fino ad arrivare a Dio stesso che nel nostro esempio è la somma delle coscienze più piccole. Con questo esempio in gran parte errato (e tra poco spiegherò perché), spero di aver chiarito due concetti fondamentali:

1) Il processo evolutivo di ampliamento della nostra coscienza oltre ad essere apparente (perché lo scorrere e la molteplicità sono apparenti e illusori) porta anche alla fusione di coscienze - fusioni di sentire - più limitati a comporre dei sentire via via meno limitati - più grandi - fino a giungere a Dio stesso, che è il Sentire Assoluto. Ma questa fusione è apparente perché esistono sempre contemporaneamente sia i sentire più limitati che quelli più grandi, nell'eterno presente.

2) La realtà è così come noi la conosciamo a causa della nostra limitata coscienza che ci porta a percepire la realtà in modo limitato.

Ora cerchiamo di capire almeno gli errori più grossolani che sono insiti nell'esempio che ho appena fatto. Per prima cosa - il primo concetto che bisogna subito distruggere - è quello che Dio sia dato dalla somma di coscienze relative più piccole… e non solo. E' errato anche il concetto secondo cui una coscienza più grande sia la somma delle più piccole. Qua entriamo nel concetto di fusione dei sentire che vedremo approfonditamente più avanti. Per ora diciamo soltanto che quando due coscienze si uniscono, la somma trascende sempre le parti che si vanno a sommare. Così come la visione tridimensionale che si ottiene dai nostri due occhi trascende la somma delle due visioni bidimensionali date dai singoli occhi. Se non ci fosse questa "trascendenza" avremmo ancora un visione bidimensionale - al limite - un po' più ampia, invece grazie a particolari accorgimenti del cervello otteniamo qualcosa che non era contenuta nel meccanismo di visione dei due occhi presi separatamente. Allo stesso modo le due coscienze, i due sentire che si fondono, originano una nuova coscienza che è qualcosa di più della somma delle parti. E questo è il motivo per cui Dio è anche trascendente, perché pur contenendo le coscienze relative e la realtà relativa (immanenza), la trascende e va ben oltre ad essa (trascendenza). Quindi il Dio prospettato dalle Guide è sia immanente che trascendente.

Ora vediamo l'altro grosso errore dell'esempio. Ho detto che la realtà così come la percepiamo è data dalla limitatezza della nostra coscienza. Non è del tutto errato, tuttavia bisogna aggiungere qualcosa su questo argomento. Bisogna dire che - rimanendo nel relativo - esistono due diversi livelli di oggettività, molto ben distinti tra loro. Rimanendo nei piani Fisico, Astrale e Mentale i veicoli usati sono sempre dotati di propri "organi di senso" - diversi per ogni piano di esistenza - e quindi soggetti, oltre che alla limitatezza della coscienza di chi li usa, anche alla limitatezza dell'organo di senso stesso. Quindi una doppia illusione che rende la percezione relativa - in quanto effettuata da una coscienza non assoluta - e soggettiva - in quanto dipendente dai propri sensi e dal proprio modo di interpretare ciò che si percepisce. Quando invece si spostasse la propria consapevolezza sul piano Akasico, si cesserebbe di usare dei sensi per percepire e si diverrebbe una vera e propria coscienza (il quadratino) che non percepisce una piccola parte della realtà, bensì E' una piccola parte della realtà. Quindi la conoscenza della realtà - pur rimanendo relativa, in quanto non Assoluta - non è più soggettiva perché non dipende da alcun tipo di percezione. Ora Kempis ci rispiegherà meglio questo stesso concetto:

La Realtà oggettiva è la Realtà quale esiste in se stessa, al di là di come viene percepita, colta dagli osservatori. La Realtà oggettiva è, insomma, la vera qualità e condizione di esistenza di quanto possiamo osservare; e, più ancora, data la nostra limitata possibilità di ricezione, la vera qualità e condizione di esistenza di quanto esiste oltre l'osservabile. Se è vero, come è vero, che tutto quanto esiste non può essere staccato da Dio, altrimenti verrebbero meno i caratteri assoluti divini, ne discende che tutto quanto esiste è parte integrante dell'esistenza di Dio, cioè di Dio stesso; anche se Dio è tutt'altra cosa dalla parte, così come l'uomo è tutt'altra cosa dalla mano del suo corpo. Se dunque ciò che osserviamo e più ancora ciò che esiste al di là di come appare nella osservazione (sempre subordinata e dipendente dai mezzi con cui si osserva) è la sostanza di Dio; e se la Realtà oggettiva è la vera qualità e condizione di ciò che esiste in sé, al di fuori dell'aspetto che assume nel processo di percezione, allora solo Dio è la Realtà oggettiva. E siccome Dio è l'Assoluto, l'unica Realtà oggettiva è la Realtà Assoluta. D'altro canto Dio, cioè la Realtà assoluta, non può essere sezionato, diviso in parti. Un osservatore è solo per la limitazione dei suoi mezzi di osservazione che ne coglie una sola parte, ma Dio in Sé è un sol Tutto inscindibile. Ciò che noi percepiamo e osserviamo è tutt'altra cosa da come è in sé, da come è oggettivamente: è cioè soggettivo e non è assoluto, è cioè relativo. Cerchiamo di puntualizzare il significato di questi termini e, più che dei termini, dei concetti. Dicesi "soggettivo" ciò che dipende dal soggetto, dal suo modo di percepire, di pensare e di essere; quindi la verità soggettiva, che per l'interessato non è meno importante della oggettiva, può esistere solo nel mondo dei soggetti, ma dei soggetti dotati di percezione, cioè nei piani Fisico, Astrale, Mentale. In questi piani la realtà che si conosce intanto non è assoluta perché è parziale, cioè è relativa, poi è soggettiva cioè legata al modo di essere, alla personalità, alla psiche del soggetto conoscente. Si può conoscere una verità relativa in modo non soggettivo? Dicesi "relativo" ciò che ha relazione con qualcosa; perciò relativo si usa in contrapposto ad Assoluto. Allora una realtà può essere relativa, cioè non assoluta, ma può non essere soggettiva; cioè può essere considerata quale realtà parziale al di fuori della percezione. Quindi una parte della Realtà Assoluta, considerata in sé, senza il soggetto che la percepisca, sarebbe realtà relativa. Ma quale può essere una realtà parziale, avendo detto che la Realtà è unica e che il dividere in parti deriva solo dalla limitazione percettiva del soggetto osservatore? Se si esclude il soggetto, che ha una percezione limitata della Realtà, la Realtà in sé è assoluta e quindi, se si esclude il soggetto, si esclude la parte e si esclude la soggettività, ma si esclude anche la relatività. Il problema avrebbe una impostazione differente se il soggetto avesse la possibilità di conoscere al di fuori della propria soggettività. E qua non mi riferisco alle conoscenze cosiddette oggettive della scienza umana ma proprio ad una diversa possibilità di conoscenza, di unione fra soggetto ed oggetto che escluda la percezione ed ogni altro intermediario: cioè una conoscenza che non si serva di simboli e immagini per trasportare nella mente la realtà del mondo in cui si vive ma che sia essa la Realtà stessa. Questa sarebbe la conoscenza più vera, perché non sarebbe ricostruire la Realtà nella propria mente servendosi di immagini e simboli, cioè avendo un'idea della Realtà, ma sarebbe la conoscenza della cosa che scaturisce dall'essere la cosa stessa.

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